Qualche nota da ascoltare, da leggere e da vedere… in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Una musica che fa rabbia, questa che le nostre note compongono, ancora la stessa: in Italia muore 1 donna ogni 3 giorni per femminicidio; «delle 104 donne uccise, 86 hanno perso la vita in contesti familiari, 50 all’interno di una relazione di coppia. Più al Nord che al Sud, più a Roma che in qualsiasi altra città». Questi i numeri ricordati dalla giornalista de La Stampa Cuzzocrea, mentre riporta la testimonianza di donne “sopravvissute” che hanno cercato, senza trovarlo, l’aiuto pronto dello Stato, che, per insufficienza di risorse umane e conoscitive, nonché per limiti culturali duri a morire, arriva sempre troppo tardi.
Tardi, quando il tessuto familiare è irrimediabilmente compromesso, e quella “rete” che la famiglia, primissimo nucleo di socialità, rappresenta ha perso ogni possibile valore di guida. I figli di donne vittime di femminicidio cadono dentro un vuoto silenzioso: orfani condannati all’ergastolo del dolore, storie invisibili, di cui lo Stato rifiuta di mantenere memoria attiva non appena si spengono i riflettori mediatici. La cura di queste giovani vite viene lasciata alle mani solidali di associazioni di volontariato o di famiglie affidatarie, in grado di garantire soltanto un aiuto transitorio o saltuario, a causa soprattutto della limitatezza e intempistività delle risorse disponibili.
Si tratta di “orfani speciali”, come li definisce Anna Costanza Baldry nel suo omonimo libro, che dovrebbero esser seguiti con adeguati supporti psicologici ed economici; invece, ciò a cui si assiste inermi, è un grave vuoto istituzionale: una volta individuato il colpevole, lo Stato sparisce. Ci si domanda: dov’erano le istituzioni prima? E dove sono adesso? Nessuna risposta di cura immediata, nessun supporto strutturato, regolamentato, programmato, nessuna assunzione di responsabilità, come queste storie ci raccontano. Qualcosa c’è, ma è ancora troppo poco e fatica a sopravvivere.
È il risultato di una cultura patriarcale che dura ad essere sradicata: quest’opera di bonifica, non più procrastinabile, passa attraverso un cambiamento di mentalità che deve anzitutto interessare le singole istituzioni e le persone che animano quelle istituzioni stesse, le sole in grado di innescare meccanismi strutturati di intervento e sensibilizzazione, tali da riverberare sull’intera cittadinanza la propria rivoluzionaria portata: la prevenzione resta e sarà sempre un’arma più potente di ogni cura, come la Casa delle Donne non ha mai smesso di affermare a gran voce.
Da ascoltare
Per questo 25 Novembre, un brano del cantautore Brunori SAS tratto dall’album A casa tutto bene, pubblicato nel 2017. Un colpo di pistola, questo il titolo della canzone che ci immerge immediatamente nella drammaticità di un femminicidio, che, come tanti, si consuma tra le mura domestiche, e che, come tanti e come troppi, è specchio della degenerazione di una cultura patriarcale pregna di senso di dominio e di possesso della donna da parte di un uomo.
Il podcast Respiro – che potete trovare ogni prima settimana del mese qui: in 6 puntate ci racconta le storie degli orfani di crimini domestici e delle famiglie che si sono prese cura di loro.
Il podcast rappresenta uno dei tanti risultati raggiunti dal progetto omonimo – Rete di Sostegno per Percorsi di Inclusione e Resilienza con gli Orfani speciali – avviato nel 2021 dalla Cooperativa Sociale Irene ‘95 (www.irene95.it), che da quasi trent’anni lavora sul territorio della cintura urbana di Napoli, insieme ad una rete di 13 partner attivi su tutto il territorio nazionale, e in particolare in Campania, Calabria, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna – riferimento attivo sul territorio piemontese è l’associazione CENTRI ANTIVIOLENZA E.M.M.A. onlus (www.emmacentriantiviolenza.com). Si tratta di un progetto ambizioso che, attraverso iniziative di formazione degli operatori e di azione sul campo, intende porre bassi solide al contrasto a quei vuoti di tutela – educativa, giudiziaria, sociale – che colpiscono i minori orfani della violenza familiare.
Respiro rappresenta una speranza ma anche uno strumento per “mappare” il fenomeno, per dare voce e visibilità a queste storie, per farne conoscere la drammaticità, per avviare politiche strutturate di sostegno.
Da leggere
Dodici storie che l’autrice Stefania Prandi, giornalista specializzata in questioni di genere, ripercorre nel suo libro Le conseguenze. I femminicidi e lo sguardo di chi resta (Settenove, 2020).
Storie di bambini e bambine costretti a subire anni di paura e di violenza assistita. Un reportage lungo tre anni che racconta, attraverso le parole di chi sopravvive al femminicidio, gli esiti drammatici della violenza di genere. Un testo duro ma necessario per far conoscere, diffondere, sensibilizzare e innestare un germe di cambiamento in una realtà feroce segnata dalla violenza.
Sullo stesso tema, Orfani speciali. Chi sono, dove sono, con chi sono (FrancoAngeli, 2001). Un saggio impegnativo sulle conseguenze psico-sociali del femminicidio su figlie e figli, che la scrittura sobria e asciutta della sua autrice, Anna Costanza Baldry, docente di Psicologia sociale e responsabile del Centro Studi Vittime di reato Cesvis (sara-cesvis.com), restituisce con chiarezza.
Dal 2000 al 2014 – periodo oggetto di studio all’interno del saggio – ci sono stati in Italia 1.600 casi di orfani che hanno perso la madre perché uccisa dal padre, questo poi suicida o detenuto; sino ad oggi, i dati aggiornati parlano di 3.800 figli, minori o già maggiorenni.
Si tratta di “orfani speciali” perché “speciali” sono i loro bisogni, i loro problemi, la condizione psico-sociale in cui essi si trovano. In un breve attimo la loro vita viene stravolta come in un terremoto: si trovano catapultati in una diversa realtà, epilogo di continue violenze domestiche.
L’Italia è il primo paese in Europa ad aver definito nei primi anni 2000 una legge che ha inteso rendere meno insidioso il percorso di queste vite verso un serio ricominciamento, e delle famiglie affidatarie verso la concreta possibilità di realizzare i propri propositi solidali: da questa legge muove la ricerca scientifica condotta dall’autrice, presentando i risultati della prima indagine nazionale empirica sul tema, con interviste ai protagonisti e l’approfondimento di alcuni casi “simbolo”.
Da vedere
Basta guardare il cielo (The Mighty) – disponibile in streaming su Amazon Prime Video – film diretto nel 1998 da Peter Chelsom, che unisce drammaticità e commedia. Al centro della storia le difficoltà di Max, un gigante con 48 di scarpe, che fatica nell’apprendimento e per questo continuamente bullizzato. Come se non bastasse, Max soffre una complessa condizione familiare: vive con i nonni da quando suo padre è in carcere per aver ucciso sua moglie, madre di Max.
A capovolgere gli eventi, arriva una stramba amicizia, ricca di coraggiose avventure in grado di regalare allo spettatore, nonostante la tragicità delle storie dei loro protagonisti, un divertimento straordinario.
Sulla scorta delle ultime notizie di cronaca, con l’ultima nota da vedere un ritorno ad un tema a noi caro: la prigionia del corpo femminile, in particolare nell’ambiente sportivo della ginnastica ritmica – luogo di invisibili violenze e abusi, come ben riassunto qui.
Storie di violenza senza voce, che condividono con le vite tratteggiate dalle note precedenti lo stesso drammatico silenzio. Sul tema, da guardare la serie tv A corpo libero, tratta dall’omonimo romanzo di Ilaria Bernardini, disponibile sulla piattaforma PARAMOUNT+.
Il racconto di corpi “leggeri” ma tutt’altro che liberi; corpi prigionieri e schiavi di una disciplina violenta, che pretende un’estrema rigidità alimentare. Si muovono in un mondo affetto da immobilismo educativo e disciplinare, intriso dalle logiche tossiche di duri allenamenti appartenenti ad un passato ancora presente.
Per questo mese è tutto!
Alice e Annalisa dal Circolo delle calze blu.